La Tromba del Pioniere

A volte possono capitare attimi di grande chiarezza, il cosiddetto Satori; momento della comprensione o momento della verità. Fra tutti gli attimi della vita, è quello che va colto e capito, poiché in grado di riempire di significato un intero arco temporale.

A distanza di mesi, di anni, se in quell’attimo ci vedessimo una vera e propria forza ispiratrice o un fattore creativo, sarà tanto più evidente accorgersi, una volta che l’onda cessa il proprio impeto, quanto sia stato importante averne colto l’istante propulsore nel momento opportuno.

Nel constatare che quell’attimo mi ha portato alla pubblicazione di un primo romanzo, non posso far altro che ringraziare quello spiraglio di luce apparso in mezzo alle nubi.

Per coloro che avessero voglia di lasciare, per un momento, la quotidianità condizionata dalle evoluzioni sociopolitiche nel quadro della pandemia di Covid-19, invito a fare un salto temporale per vivere un’esperienza barocca, seguendo i passi di un musicista cresciuto nello sperduto principato di Scavolino, situato nel Montefeltro. Costretto ad imbarcarsi con una compagnia di cercatori d’oro, armato della sua sola tromba, lo seguirete in un viaggio che lo porta a conoscere luoghi bizzarri ed incantevoli, attraverso la scoperta di culture e popoli distanti dal suo concetto di mondo: tra le interminabili traversate oceaniche e le esplorazioni dei grandi fiumi del Brasile e dell’Africa centro-meridionale. In un’epoca contraddistinta dai fasti delle corti europee e dagli abomini delle tratte degli schiavi, testimoniate dai resoconti di gesuiti e cappuccini, le avventure umane e sentimentali vissute dal protagonista vi permetteranno di toccare un concetto, oggi tanto sottovalutato quanto primordiale: la bellezza del suono.

Non aggiungo altro, se non che dal 12 dicembre La Tromba del Pioniere sarà ordinabile presso tutte le librerie (anche on-line) che collaborano con il gruppo “Messaggerie Libri”.Piccolo consiglio in vista di un periodo natalizio che si preannuncia austero.

https://www.gruppoalbatros.com/prodotti/la-tromba-del-pioniere-giacomo-fidelibus/

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I cinquecento anni del Castello di Chambord

Visita ad un tesoro del Rinascimento Francese, dove la firma di Leonardo e i sogni di Francesco I sono stati rimessi in valore con il recupero dei giardini nel 2017

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Aprile, mese di ricorrenze, tempo di fioriture. Nella stagione della rinascita, i castelli della Loira offrono sempre un buon pretesto per plonger dans l’histoire.  A due ore di strada da Parigi, il comune di Chambord sfoggia una gemma di raro valore, nel bel mezzo di un’estesa area boschiva.  Fiore all’occhiello sotto il regno di Francesco primo, nonché emblema del Rinascimento Francese, il castello di Chambord entra quest’anno nel suo cinquecentesimo anniversario dalla data di costruzione.

E se proprio vogliamo restare in tema di celebrazioni, lo scorso 15 aprile è ricorso l’anniversario della nascita di Leonardo Da Vinci, che avrebbe compiuto cinquecentosessantasette anni. Per quanto il fatto di trovarsi a Chambord in tale data possa non sembrare un caso, la coincidenza non è voluta; la base di partenza è sempre il viaggio, o una certa idea di viaggio, che molto spesso costituisce l’anteprima di tanti progetti.

Un po’ come il viaggio di Francesco I compiuto nel settembre dell’anno 1515, nei territori 20190414_120704dell’allora Ducato di Milano, in occasione della battaglia di Melegnano – che con la Pace di Noyon sancisce il ritorno di Milano sotto il controllo francese – durante il quale il Re resta affascinato dall’architettura italiana, al punto tale da decidere di invitare il Maestro Da Vinci presso la sua corte, nel 1516, in qualità di “primo pittore, architetto e ingegnere del Re”.

Non licet omnibus adire Corinthum. Il contributo di Leonardo nella progettazione strutturale del castello di Chambord, il cui atto di realizzazione risale all’autunno 1519, è stato senza ombra di dubbio determinante. A cominciare dalla famosa coppia di scale elicoidali a “rivoluzione doppia”, che si sovrappongono senza mai incrociarsi, Leonardo è stato ispiratore del posizionamento del dongione, che si sviluppa su pianta centrale, e dell’ingegnoso sistema di tenuta stagna delle terrazze. Senza dimenticare la concezione delle latrine a doppia fossa e a doppia condotta d’aerazione. E abbiamo citato solamente quattro bozze, estrapolate da uno suoi quaderni di appunti personali.

Parlando di cifre, se volessimo ricercare una simbologia dietro i numeri, il quattro sembra emergere un po’ ovunque nell’architettura di Chambord. Quattro sono le torri che delimitano e racchiudono il perimetro del castello; quattro sono i piani dell’edificio, che offrono il loro accesso alle ampie sale a forma di croce greca, composte a loro volta da quattro bracci. E nei diversi piani, si possono osservare i dipinti che 20190414_121937.jpgriguardano i personaggi che hanno vissuto a Chambord, in tutto il suo splendore, durante quattro secoli di storia; da Francesco I, al maresciallo de Saxe, che qui morirà nel 1750, fino ai re di Francia che si sono susseguiti dopo il congresso di Vienna e la Restaurazione, come Luigi XVIII e Carlo X. Dalle camere da letto reali, fino agli arazzi fiamminghi, che ornano il secondo piano del palazzo con immagini e scene tratte dall’epica e dalle sacre scritture, ogni singolo dettaglio riflette il percorso storico vissuto dal castello e dai suoi proprietari.

Da ultimo, ma non meno importante, i maestosi giardini segnalano che i cinquecento anni di questo castello non sempre sono stati contraddistinti all’insegna della fastosità.  In principio, il progetto realizzato nel XVII secolo dall’architetto Jules Hardouin-Mansart, su commissione del Re Sole, porta i giardini di Chambord ad avvicinarsi al prototipo di Versailles, con forme regolari che permettono di mettere in valore la facciata del palazzo e la realizzazione di fossati che consentono di prosciugare i terreni paludosi di allora. Sulla stessa linea guida si focalizza lo sforzo dell’architetto Jean-Baptiste Pattard nella prima metà del ‘700, che vedrà sorgere il primo giardino alla francese.

Ma con l’arrivo della Rivoluzione francese, seguono due secoli di incuria generale, che assisteranno a qualche tenue 20190414_124245.jpgcambiamento soltanto sotto la proprietà del delfino di Francia, Henri de Bourbon, che agli albori del ventesimo secolo decide di semplificare la forma dei giardini preservandone i camminamenti, con la disposizione di qualche arbusto nei sentieri. Ma occorrerà attendere il 2010 prima di veder fiorire l’ambizioso progetto volto a restituire a Chambord un complesso di giardini degni del suo castello. I lavori di restauro, conclusisi nel 2017, hanno portato alla luce del sole un’area di 19.000 metri quadrati, composta da 600 alberi e 800 arbusti, 200 roseti 15.250 piante, che delimitano i confini della parte esterna del palazzo reale,  offrendo un’ulteriore ragione, tra le tante, per visitare questo gioiello rappresentativo della Francia rinascimentale.

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@JackFide

 

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Si riparte! (o almeno ci si prova)

Buongiorno!

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L’ultimo post pubblicato risale al 18 Giugno 2015.

A quasi quattro anni di distanza, di percorsi ne sono stati intrapresi, rivisti e compresi.

Ho deciso di dare una spolverata a questo blog, ormai cimelico, per offrire una continuità tra presente e passato.

Il mio nuovo campo di prova, in qualità di editor, è rappresentato dal settore tecnologico, nell’ambito delle smart city e delle soluzioni innovative nel quadro del miglioramento della dimensione urbana.

Coprendo il ruolo di responsabile allo sviluppo internazionale per conto di una società francese che produce soluzioni senza fili per applicazioni critiche, cerchero’ di unire il pratico al dilettevole, senza troppo badare all’utile. L’utilità nel campo dell’informazione riveste un carattere di condivisione. Ancora ci credo. 🙂

Il format sarà più o meno lo stesso; pubblicazione di contenuti editoriali, con preminente spazio lasciato agli eventi organizzati e ai progetti toccati in prima persona.

Provero’ a farmi vivo il prima possibile.

A presto!

@JackFide

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I punti di rottura di un’arte eclettica: intervista ad Alex Caminiti

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Poetico, innovatore, anticonformista
. Se le sue opere sono capaci di eludere ogni modello canonico, la sua personalità risulta essere senza dubbio affascinante. Ut pictura poësis, tanto metonimico nel linguaggio quanto geniale nell’arte, Alex Caminiti rappresenta l’icona del talento che riesce a fare poesia dall’unione degli elementi disorganici. Le sue collezioni, ribattezzate sotto il ciclo ‘punti di rottura’, rivelano la tecnica utilizzata, nella creazione di forme vive, combinando i diversi materiali policromi; come l’alluminio, il rame lo smalto e le pietre. I tratti marcati e incisivi delle sue tele potrebbero rievocare il periodo post-cubista degli anni cinquanta, animato da interpreti del calibro di Antonio Corpora e Titina Maselli. Allo stesso tempo, Caminiti dimostra di riuscire a muoversi spigliatamente tra scultura, pittura ed espressionismo astratto. Se l’evento organizzato per il lancio della nuova Ducati Monster nel 2014, in cui l’artista messinese ha dipinto dal vivo il corpo di Flavia Vento, non bastasse ad evidenziare la capacità di Caminiti di passare dalla pittura su tela all’action painting, occorrerebbe citare le numerose esposizioni svolte in giro per il mondo: Shangai, Hong Kong, Dubai, Londra, Stati Uniti. E poi Parigi, dove nell’ottobre 2014 ha partecipato alla quattordicesima edizione di Art Shopping presso il Carrousel du Louvre, presentando due smalti su piastra in metallo. Dalle Alpi alle Ande, tra realtà e utopia, la capacità di realizzare capolavori attraverso l’uso delle leghe ferrose è arrivata anche in Cile; dove, in occasione della “Bienal del Fin del Mundo” che ha avuto luogo nella città di Valparaiso dal 31 gennaio al 31 marzo di quest’anno, Caminiti ha compiuto una serie di sculture in ferro ispirate alle forme simboliche e mitologiche del popolo dei Rapa Nui dell’isola di Pasqua.  Infine, tabula gratulatoria, vanno menzionate le due opere della serie ‘Punti di rottura’ battute a Londra dalla casa d’asta inglese Christie’s, non male per celebrare il profilo autodidatta di questo ‘poeta’ eclettico, che a 38 anni ha già scalato diverse vette del mondo dell’arte; a cominciare da quella del vicino Etna, come testimonianza del legame che lo unisce alla sua terra, la Sicilia. Da qui, l’idea di trasformare in un monumento civile la carcassa dell’auto in cui viaggiava Giovanni Falcone con la moglie, Francesca Morvillo, e la sua scorta, che comprova a tutt’oggi la piena consapevolezza sociale del suo animo creatore, i cui spunti possono essere rintracciati nel seguente dialogo intervista:

Giacomo Fidelibus: La tua arte, conosciuta come Punti di rottura, descrive la maniera di lavorare con metalli, pietre  e smalti. Com’è possibile ottenere delle forme vive combinando materiali solidi, come l’alluminio e la colla? Dove si trova il punto di rottura?

Alex Caminiti: Ogni volta che mi chiedono come dipingo rispondo semplicemente che guardo, osservo e riporto. È quello che faccio. Non esiste un vero e proprio punto di rottura. Avviene che in questo passaggio, senza capirne bene il motivo, le persone diventano sensazioni, impressioni, e poi oggetti o paesaggi, ora bottiglie a contenerli, invisibili e sconosciuti, ora drappi candidi, ora pesche, solo perché me ne evocano la florida pienezza, ora freddi spigoli duri. E poi viene da chiedersi, che cosa possono i singoli elementi nel confronto con l’uno?

G.F.: Dopo aver fatto conoscere il tuo talento in diverse capitali del mondo, quest’anno hai toccato l’America del Sud, partecipando alla Bienal del Fin del Mundo, che si è tenuta tra la Terra del Fuoco in Argentina e la città cilena di Valparaiso. Le tue opere hanno contributo ad arricchire i temi sociali e onirici sui quali è stata improntata la manifestazione, dove tra l’altro hanno partecipato artisti di livello mondiale, come l’australiana Tracy Moffat. Quanto è stato importante trovarsi li’?

A.C.: Tanto. Innanzi tutto perché, come hai detto tu, si è trattato di un evento mondiale, tenuto sotto la direzione artistica di Massimo Scaringella, alla quale hanno partecipato 150 artisti provenienti da 35 paesi dei cinque continenti. Trovarsi li’ è stato decisamente importante. Il tema dell’edizione di quest’anno era “Contrasti e Utopie” e lo spazio scelto per l’installazione delle opere d’arte è stato il Parque Cultural, dove un tempo risiedeva un carcere in cui venivano imprigionati gli oppositori al regime di Pinochet. Inoltre, per la prima volta la manifestazione si è tenuta di fronte al pubblico cileno.  E’ stata dunque una grande occasione di confronto artistico. Un “punto di unione” e di incontro tra la popolazione e le proprie radici. Per questo ho scelto di realizzare otto installazioni ispirate alle figure mitologiche del popolo Rapa Nui, originario dell’Isola di Pasqua, Tra l’altro, mi preme evidenziare che tali opere sono state costruite con la collaborazione dell’Università di Belle Arti di Valparaiso.

G.F.: Esattamente un anno fa, hai avuto l’opportunità di curare la serata dedicata al Monster 821 della Ducati. Per l’occasione, hai messo alla prova un’altra mescolanza di arti; dalla shadow art, che ha visto proiettare delle luci sulle componenti del monster, all’action pantining, segnato dal momento in cui ha dipinto il corpo di Flavia Vento. Qual è il significato del punto di rottura in questo caso? E’ giusto parlare, di converso, di ‘punto di contatto‘ tra design motociclistico e arte?

A.C.: Credo che il mondo sia fatto di passione, fuoco, terra, carne, che sia rosso e giallo, marrone scuro tendente al nero, con tratti bianchi alternati. Cosi’ come non esiste un vero e proprio punto di rottura, non esistono dei punti di contatto, poiché tutto fa parte dello stesso universo. È un universo così pieno che si sente l’esigenza ora di raccoglierne l’anima folle e rapsodica, usando corde e colori che cedono alla gravità del basso, ora di definirne i contorni precisi. E poi vedo una una donna, dalle caviglie e dai polpacci sottili, ossuti, le sue rotondità più in alto incarnano la figura. Mentre la dipingo è come se la toccassi e mentre la tocco è come se la dipingessi, scolpendola con le mani ed il pensiero. Pura creazione.

 G.F.: Spostiamoci a Parigi. Qui, nel 2014, la Federazione Nazionale di Artisti in Italia ti ha selezionato per partecipare al Carrousel du Louvre, dove i tuoi quadri sono stati esposti per circa una settimana. Dopo le esposizioni svolte negli Stati Uniti e in Cina, la tua arte è stata consacrata in uno dei musei più prestigiosi al mondo. Anche in questo caso, è stata premiata la tua maniera di fare arte tra cubismo, futurismo e neorealismo. Come si congiungono questi tre differenti stili con la tecnica dello smalto su tela?

A.C.: Non dipingo nè per seguire uno stile nè per interpretare una tecnica. Faccio arte per le persone, perchè mi affascina affascinare la gente. E poi un’opera d’arte vuol dire tante cose. Tante quanti sono gli occhi che la osservano in orgasmico stupore. Quello che questi occhi non sanno è che sono io a guardare loro, in verità, da dentro quelle tele. Io ci sono sempre. In ogni contrasto di luce. In ogni ombra o fascio luminoso, volto o ruga. A volte nascosto, in un angolo. La gente non capisce più le cose semplici, e poiché non le capisce le spaccia per complesse. Restano intrappolati. Ma io non gioco alle loro regole. Li osservo come fossero una razza difforme dalla mia. Ed alla fine il mio unico modo per capirli è dipingerli. Così passano dal mio filtro. Assumono la forma del mio sguardo.

G.F.: Nel 2013 le tue opere sono state batture da Christie’s. Che effetto fa vedere le proprie realizzazioni valorizzate dalla casa d’asta più famosa al mondo, insieme ai quadri di Gattuso, Picasso e Carrà? Come interpreti la relazione tra il successo professionale la passione artistica?

A.C.: Indubbiamente sono innamorato della passione, soprattutto quando essa cresce. E mi trovo a ragionare, eppure, di altri mondi. Non mi importa che le mie opere viaggino, cambino padrone, poiché io ne possiedo la chiave.

La relazione tra professione e passione è il mio tormento. Si, perché la passione non è solo vitale, quasi sessuale, giocosa e attiva forza. È anche quello che ti rende così differente da stentare a riconoscerti, a volte. Quasi violento. Guardo, a volte, mentre dipingo, le antiche cicatrici sulle mie mani.

G.F.: Da messinese e siciliano, recentemente hai proposto il progetto di trasformare in un monumento la carcassa dell’auto in cui viaggiava la scorta di Giovanni Falcone. Quanto è importante il legame tra l’arte e il tema della memoria civile?

A.C.: Ho sempre creduto che niente finisse qui, oggi, adesso, come ieri. La nostra carne é solo un breve passaggio, il nostro spirito sarà più forte e più puro come l’aria, limpido come l’acqua, come gli angeli. Gli stessi angeli che hanno onorato la propria vita per un ideale. Avverso profondamente il nichilismo e detesto l’idea che il nulla pervada il tutto. Non è così. Amo pensare che un gesto, una carezza o un’importante testimonianza di coraggio possa vivere per sempre.

G.F.: Nell’ultimo periodo la tua arte si è dedicata all’urbanistica. Nello specifico, il comune di Foggia ha deciso di modificare l’assetto della superstrada A77 nell’ottica di valorizzare la storia della città. E in tal senso, le rotatorie avranno una capitolo fondamentale nell’idea di realizzare un percorso museale all’aperto. Potresti spiegare i dettagli della sua Land Art e il significato storico dell’opera“Aquainsignique”?

A.C.: Ho preso in consegna il progetto della quarta rotonda della superstrada, la R4. Sia a me che all’artista Antonio Barbagallo è stato chiesto di creare un corso museale all’aperto, che prendesse ispirazione dagli elementi storici pertinenti alla città. Acquainsignique, in questo caso, rievoca le origini e la tradizione foggiana delle tre fiammelle, che sono ritratte anche nel gonfalone della città. Il monumento si compone di tre lame d’acciaio verticali delle dimensioni di 9 metri di altezza e tre metri di larghezza, che saranno rifinite con smalto color rosso fuoco. Nell’opera finale, le tre forme emergeranno da uno specchio d’acqua. Decisamente molto tecnico.

G.F.: Restando sempre sul tema del sociale, quest’anno il Carrousel del Louvre offrirà i propri spazi alle opere di un’altra artista italiana, Vesna Pavan, impegnata sulla sensibilizzazione contro la violenza sulle donne. Cosi’ com’è stato per il cinema, anche per l’arte l’impegno di denunciare le deviazioni della società si manifesta indispensabile per la costruzione di una nuova, auspicabile, realtà. Non hai l’impressione che le istituzioni italiane facciano troppo poco per valorizzare i propri talenti artistici?

A.C.: Non esiste una ricetta magica ai problemi congiunturali. Personalmente mi è sempre mancato di sentirmi parte di qualcosa. E’ come crescere senza una famiglia, sapendo invece di averla. Quando non sei orfano. Quando lo diventi. Anche se tecnicamente non è vero. Perché si deve fare così, e non c’è altra scelta. Queste sono le sensazioni che respiro quando penso al concetto di istituzione. In ogni caso vivo sorridendo, dando tutto. Donarmi, il mio corpo, la mia mente, la mia arte. Amare. Quello che so fare meglio. Godere del mondo e che il mondo goda di me, senza lesina, generosamente e totalmente, fino all’ultima goccia, di sangue, di colore, di seme, di sudore. Questo mi dà la felicità adesso. Ma non domo. Non ancora. Non possiamo sicuramente dirci soddisfatti. Forse mai smetterò di avere questa fame. Non di qualcosa, ma di tutto. Bisogna sempre ambire e pretendere il massimo dalla vita, cosi’ come da coloro che hanno i mezzi per rendere amabile e proficuo il rapporto tra la vita e l’arte.

G.F.: Quale sarà il tuo prossimo punto di rottura? Su cosa stai lavorando in questo periodo?

A.C.: La prossima esposizione si terrà a Milano, il 9 luglio dalle 19:00, presso la Galleria Bianca Maria Rizzi.

Giacomo Fidelibus
Tribuna Italia

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La due giorni di Art Shopping al Carrousel du Louvre e il ritorno di Vesna Pavan

L’artista friulana ancora protagonista della passerelle parigina sull’arte contemporanea. Quadri, foto, sculture e street art dal vivo hanno animato l’appuntamento internazionale più conosciuto dai collezionisti d’arte

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Anche per quest’anno, alla volta della sua sedicesima edizione, l’appuntamento internazionale di Art Shopping ha confermato il proprio ruolo di passerella tra gli artisti e gli appassionati di arte contemporanea. Un ponte diretto tra collezionisti e realizzatori; come quello che da Port de Saint-Pères collega le due parti della Senna, portando i turisti e gli amanti parigini davanti al tempio mondiale dell’arte. Proprio qua, a due passi dal Louvre, il Carrousel ha offerto per due giorni (dal 13 al 14 giugno) le proprie gallerie alle mostre di 450 opere, che da tutto il mondo hanno raggiunto la capitale francese percorrendo un viaggio attraverso le più celebri e originali discipline al cuore dell’arte.

Una raccolta di esposizioni senza dubbio poliedriche. Dalla pittura alla scultura, dalla fotografia passando per la Street Art, che ha visto l’esibizione dal vivo di venti maestri di pittura decorativa, i cui nomi rispondono alle giovani stelle del murales mondiale: è il caso di EZP, Zenoy, Stoul, Iza Zaro, Wire e Anis, tanto per citarne qualcuno. Le loro perfomances si sono contraddistinte in diversi stili di ‘affreschi da parete’, prettamente interpretati dalla tradizionale bomboletta spray, dai mosaici e dall’uso di materiale tessile.

A pedibus usque ad caput. Tra i corridoi che delimitano gli spazi riservati alle gallerie, la selezione delle migliori opere internazionali ha toccato tutti gli angoli del globo; se la sala di rappresentanza giapponese ‘Be Gallery’ è riuscita a colpire l’attenzione con le realizzazioni di Chisayo Nakata e Okazaki Arisa, agli estimatori di Art Shopping  non è mancata la possibilità di perdersi tra i dettagli dei personaggi ritratti sulle tele dell’azerbaijano Sakit Mamadov. Allo stesso tempo, non è stata fatta salva l’ambientazione dedicata alla Bohemian Fine Art, firmata dall’artista americana Amy Polling. I padroni di casa francesi, dal canto loro, hanno decisamente corroborato le aspettative dei partecipanti, con evidenti punte di prestigio per i quadri di Sophie Bryces e di Perrot.

In situ, anche l’arte contemporanea italiana è stata protagonista di questa sedicesima edizione della cosiddetta fiera dell’accessibile. A tal proposito, agli onori della rappresentanza, l’EA Editori Gallery di Palermo ha esposto numerose tele e opere realizzate da artisti provenienti dal Belpaese. Tra questi, occorre spendere qualche parola sui recenti contributi artistici di Vesna Pavan; già nota come ideatrice di numerosi progetti improntati sul sociale, di cui ne è gonfaloniere l’iniziativa ‘Red&Fucsia’, lanciata e consacrata sul tema della violenza sulle donne. Un ritorno di successo, quello dell’artista friulana, che al Carrousel du Louvre ci era già arrivata nel 2013; oggi, a differenza di allora, con l’obiettivo di trasmettere una differente relazione tra colore e pittura.

Cosi’ è possibile inquadrare il ciclo Skin, nato dall’esigenza di rispondere ad un bisogno psicofisico dell’artista. Partendo dal desiderio di liberare ogni sorta di emozione, l’innovazione tecnica del ciclo Skin è dato dall’assenza della tela, che Vesna Pavan giudica un elemento statico e inadatto per descrivere le proprie sensazioni. Attraverso la divisione in due filoni – ‘created by color’, per quanto riguarda la presenza di figure femminili sulla falsariga del ciclo Fusion Forex; ‘moving color’, basato sul movimento del colore – l’idea dell’artista di condividere i propri stati d’animo risulta ben riuscita, proprio grazie agli effetti di naturalezza prodotti dall’utilizzo dello smalto, che si afferma l’unico materiale impiegato dalla Pavan.

Cio’ è particolarmente evidente nelle tre opere esposte e messe in vendita ad Art Shopping, che riprendono tutti gli elementi organici del moving color; per capirlo è opportuno riferirsi ai moduli Feeling, Red Lips e River, tutti e tre rigorosamente ‘smalto su smalto’ da 96 x 76 cm. Come ha recensito il critico d’arte Luca Beatrice, il concetto di questi lavori sta nella messa in scena del corpo umano come materia liquida, che recupera le tecniche pittoriche delle avanguardie degli anni cinquanta; basti pensare alle tele cauterizzate di Alberto Burri e al dripping di Pollock, con evidenti richiami all’espressionismo astratto di Clyfford Still e all’influenza pop di Robert Rauschenberg. Il risultato si confuta nella sintesi dell’eterno conflitto tra apparenza ed essere, che sfocia in un palese contraddittorio più tecnico, tra immagine e contenuto.

Giacomo Fidelibus
Tribuna Italia

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Le misure dell’uomo di Le Corbusier raccontate al Pompidou

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La mostra interamente dedicata all’apporto artistico e concettuale di Le Corbusier nel ‘900, offre un’esposizione integrale delle opere compiute dall’architetto franco-svizzero: dal purismo di Villa Savoye alla città umanista di Chandigarh, un viaggio nei labirinti lecorbusiani

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Quando il gioco sapiente e rigoroso dei volumi “sotto la luce” si fonde con gli aspetti essenziali dell’abitare, l’architettura offre il meglio di sè. E per rendere omaggio ad un’arte poliedrica, capace di determinare gli spazi dell’essere umano, il Centre Pompidou dedica un’intera esposizione all’ideatore che, per antonomasia, ha per primo concepito il benessere dell’uomo attraverso l’ordine degli spazi. Charles-Édouard Jeanneret, in arte ‘Le Corbusier‘ (appellativo che deriverebbe dal totem indiano del corvo), simbolizza a tutt’oggi l’idea di un’architettura visionaria, sviluppatasi nel XX secolo, che grazie ad un’assidua mescolanza di discipline ha drasticamente cambiato la visione dell’abitare.

Benchè siano fondamentali per la comprensione dell’opera di Le Corbusier, i canoni pertinenti alla figura umana non avevano mai, prima d’ora, rappresentato l’oggetto di un’esposizione. Con il titolo ‘Les mesures de l’homme‘, i curatori della mostra, in primis Olivier Cinqualbre e Frédéric Migaurou, hanno pensato ad un percorso di dodici sale per ripercorrere le evoluzioni personali dell’architetto franco – svizzero; nel nostro caso, colui che sulla base di leggi organiche orientate alla percezione, ha definito i principi di una creazione multiforme alla fonte del modernismo.

In particolare, l’influenza della psicofisica introduce ad una lettura più ampia dell’esposizione, che trae origine dal campo della pittura, connessa all’arte del purismo e del periodo ‘acustico’; seguendo le tracce dell’architettura ‘brutalista’ della Chapelle Notre Dame du Haut a Ronchamp e della Ville humaniste di Chandigarh, capitale dello Stato del Pendjab in India. Senza tralasciare le sezioni dedicate all’urbanismo, che proprio con il razionalismo assiste alla comparsa del concetto di unità abitativa, evidente nei grattacieli ‘cartesiani’, tra cui si profila il progetto della Cité Radieuse di Marsiglia.

Opere omnia, i momenti di sviluppo professionale di Le Corbusier riportano all’adolescenza trascorsa a La Chaux de Fonds, città svizzera che gli diede i natali nel 1887. Da qui, dopo un’iniziale formazione da orologiaio, Jeanneret decide di compiere un viaggio per l’Europa, nel corso del quale resterà particolarmente impressionato sia dal Partenone di Atene che da diversi monumenti civili e religiosi (tra cui il capitello della basilica di San Vitale a Ravenna, alla quale dedicherà un dipinto).  Questo periodo lo lancerà definitivamente verso l’architettura, tramite un percorso di maturazione artistica in cui farà la conoscenza di personalità del calibro di Heinrich Tessenow, architetto ideatore della città giardino di Hellerau; e del pittore Amedée Ozenfant, con il quale elabora e pubblica nel 1918 il Manifesto del movimento purista intitolato ‘Dopo il cubismo’, nei cui estratti è possibile ritrovare lo spirito industriale, meccanico e scientifico che si riscontra nei quadri di nature morte realizzati dai due autori. Sotto questa chiave di lettura, emerge il desiderio di descrivere gli oggetti della vita quotidiana, attraverso il miglioramento della leggibilità delle opere che le porta ad essere pure e universali, dunque alla ‘ricerca d’invarianti’.

D’altro canto, alla vigilia degli anni venti, l’influenza dell’Esprit Nouveau lanciata dal poeta Guillaume Apollinaire, spingerà  Le Corbusier e Paul Dermée a fondare una rivista internazionale di estetica chiamata proprio Esprit Nouveau, che offre il preludio delle riflessioni con cui Le Corbusier intende rivoluzionare il concetto di habitat in occasione dell’esposizione universale del 1925. All’epoca, l’architetto poteva già vantare la realizzazione di opere quali Maison La Roche a Parigi e il Quartiers Modernes Frugés, dal nome dell’industriale che l’ha commissionata, a Bordeaux; quest’ultima progettata sui parametri di una città giardino rivolta ad accogliere gli operai delle Lande, con il desiderio di dare vita ad un’utopia che combini i caratteri di praticità ed estetica. Del resto, il decennio che va dagli anni venti agli anni trenta consacrerà il vocabolario lecorbusiano; il quale, all’indomani del compimento di numerose ville, tra le quali occorre citare Villa Savoye a Poissy, introduce un nuovo dizionario di termini; come trampolo, tetto giardino, piano libero, finestra in lunghezza, facciata libera. In questa direzione, associando luogo di vita e luogo di lavoro, tali dimore furono oggetto di un intenso lavoro sul colore, soprattutto per quanto concerne l’allestimento delle mura interne, destinate ad accogliere numerosi quadri, alcuni di essi firmati proprio da Le Corbusier.

Si arriva cosi’ all’alternativa lecorbusiana all’Art deco, in voga negli anni venti. Insieme al cugino designer, Pierre Jeanneret, Le Corbusier ripensa ad arredamenti formali e basici, composti da armadietti, sedie, poltrone, tavoli e letti. A partire dal 1927, il contributo apportato dalla progettista Charlotte Perriand innoverà il repertorio dei suppellettili ‘lecorbusiani’ con l’ingresso del materiale ergonomico, capace di adattarsi in maniera flessibile sia al corpo dell’abitazione che al corpo umano. Corpo e sensi; un’associazione indissolubile nel rapporto quotidiano dell’architetto con le forme. Sarà specialmente l’amicizia con lo scultore bretone Joseph Savina ad evidenziare questo aspetto del pensiero di Le Corbusier, conosciuto come il ‘periodo acustico’ della sua vita; in cui Jeanneret realizzerà alcune tele, mettendo in scena figure che richiamano alle ‘orecchie’, sintesi dell’esperienza acustica e spaziale da cui nascerà l’idea del ‘Petit Homme’,  disegno su tavola che ispirerà la famosa scultura di Savina.

Di converso, il dopoguerra lecorbusiano si focalizza principalmente sulle nozioni pertinenti all’urbanistica. Gli anni ’50 accolgono l’immagine dell’unità abitativa come grandezza conforme, particolarmente evidente nei grattacieli ‘cartesiani’, studiati per includere il più alto numero di appartamenti possibili; oltre alla già citata Cité Radieuse di Marsiglia, che conta più di 337 condomini, si annoverano numerosi progetti compiuti a Firminy, Briey-en-forêt e Berlino. Opere sicuramente più utili che belle, come il convento di La Tourette (Rhône-Alpes), dove la concretezza del ‘brutalismo’ stilistico ed estetico rispecchiano perfettamente l’animo ateo dell’architetto. La natura delle forme come risposta alla psicologia della sensazione; un’espressione mentale che ha guidato Le Corbusier nella realizzazione della città umanista di Chandigarh, a lui commissionata dal Primo Ministro indiano Jawaharlal Nerhu, con la richiesta di fare della capitale del Punjab l’emblema della libertà dell’India che, attraverso le proprie tradizioni culturali, guarda con fiducia e ottimismo al futuro. Dictum factum, il piano di lavoro urbanistico disegnato da Le Corbusier, Maxwell Fry e Jane Drew sarà compiuto vent’anni dopo la morte dell’architetto franco – svizzero. Oggi Chandigarh è la città con più opere di Le Corbusier al mondo, in cui il monumento della ‘mano aperta’, pronta sia a dare che a ricevere, contrassegna lo stile lecorbusiano.

Infine, i contributi destinati allo studio del corpo umano, paralleli alla fondazione nel 1943 dell’Ascoral (Assemblée des constructeurs pour une rénovation architectural) conducono alla rappresentazione del Modulor, un sistema di misure orientate alla taglia dell’uomo medio, che riprende  in parte la progressione naturale del matematico pisano Fibonacci. Il collage, creato nel 1950, rappresenta un modello di uomo della statura di 183 cm (226 cm con le braccia alzate) affiancato da una conchiglia, come simbolo dell’infinito. E’ questa una delle rare testimonianze artistiche dell’unità di misura lecorbusiana, alla quale puo’ benissimo allegarsi il Cabanon, lo spazio di 12 metri quadrati costruito presso Roquebrune-Cap-Martin, nella splendida cornice posta tra il Principato di Monaco e Mentone, in cui l’architetto abiterà fino alla sua morte, il 27 agosto 1965.

Giacomo Fidelibus @JackFide
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Quando Hollande si fa la trasferta diplomatica a Cuba

Con un’inversione di rotta nel fine settimana, Hollande ha lasciato le Antille francesi per fare tappa a L’Avana, dove lo attenderà Raul Castro. Il significato di un incontro storico tra il capo di Stato cubano e un Presidente francese, Mitterand permettendo, dove le relazioni commerciali rappresentano la principale linea di contatto

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Fluctuat nec mergitur, ovvero naviga e non affonda. Una locuzione latina cara alla città di Parigi, che in questo momento puo’ prestarsi a raffigurare il corso della diplomazia francese impegnata dall’altra parte dell’Oceano. Con un senso metaforico implicito, il viaggio che il Presidente della Repubblica François Hollande sta compiendo a Cuba in questa settimana assume una doppia valenza politica, da valutare sia in chiave internazionale che interna.

Innanzi tutto, se la decisione di allungare la propria visita istituzionale dai territori d’oltremare di Guadalupe e Martinique all’isola cubana non rappresentasse, già di per sé, un evento storico per il solo fatto che Hollande è il primo presidente francese ad atterrare a L’Avana dopo l’embargo del 1962, sarebbe sufficiente rammentarsi che l’ultimo capo di Stato occidentale a mettere piede sull’isola fu lo spagnolo Felipe Gonzales nel 1986. Del resto, riprendendo le stesse parole di Hollande a corredo del suo colpo di scena diplomatico, si tratterebbe di un’esclusiva vocazione della Francia quella di essere prima.

Ma per quanto la Francia intenda giocare un ruolo di primo piano nello scacchiere geopolitico del dialogo internazionale con Cuba, le principali voci della relazione economica franco – cubana riportano piuttosto i numeri di una presenza francese alquanto esigua sull’isola caraibica. Al di là della splendida architettura del Museo Napoleonico, al cui interno è possibile visitare una collezione di 7mila oggetti personali appartenuti al Bonaparte, giunti a L’Havana dall’isola di Sant’Elena grazie al medico personale dell’imperatore, François Antommarchi, l’embargo americano da una parte e la comune posizione dell’Unione Europea, in vigore dal 1996, dall’altra hanno finora vanificato qualsiasi sodalizio tra i due Paesi; tanto è vero che la Francia ricopre oggigiorno la decima posizione tra i partners commerciali di Cuba, con un fatturato pari a 180 milioni di vendite realizzate nel corso del 2014.  A maggior ragione, la sanzione pagata con 8,9 milioni di euro di ammenda da ‘BNP Paribas’ il 30 luglio dell’anno scorso  per aver violato sia l’embargo cubano che quello decretato su Sudan e Iran, insegna che con i fermi internazionali c’è poco da scherzare.

Ad ogni modo, dopo le recenti aperture tra il premier americano Obama e Raul Caustro, quest’ultimo reduce dell’incontro a San Pietro con Papa Francesco avvenuto la scorsa settimana, i tempi per un’inedita stagione di scambi transoceanici sembrano ormai giunti alle porte. Carpe diem, Hollande appare più che mai motivato a riprendere in pectore un alto profilo sui temi internazionali, nell’evidente tentativo di scrollarsi di dosso il peso di una situazione interna assai meno consolante, visto che i sondaggi di popolarità continuano a denunciare la caduta libera della coppia Hollande – Valls; in tale quadro, il numero uno dell’Eliseo ripropone la strategia mirata a convergere l’attenzione dell’opinione pubblica su un improbabile protagonismo globale, lo stesso che lo aveva visto coinvolto nel piano di pace tra Russia e Ucraina elaborato lo scorso febbraio insieme ad Angela Merkel. E questa volta, per farlo, dovrà ripensare ad un circuito economico con Cuba che possa evolvere dall’attuale panoramica legata all’import/export di rum e prodotti agro-chimici per lanciarsi sugli investimenti dei principali attori imprenditoriali presenti sull’isola in diversi campi; come ‘Bouygues’ nella telefonia, ‘Pernod-Richard’ con la compartecipata ‘Havana Club’ negli alcolici, ‘Air France’ e ‘Total’ nell’aeronautica e nell’energia.

Non da meno, il settore turistico potrebbe disegnare una prima linea di contatto tra i due Paesi, visto che i 100mila turisti francesi censiti nel 2014 per il momento sono ben lontani dal rappresentare un punto di traino del calibro dei tre milioni di canadesi. In ogni caso, la delegazione dell’esagono presente sull’isola in questa settimana è consapevole che Cuba, nel momento in cui Washington decidesse di levare l’embargo sulla Repubblica caraibica, potrebbe essere soggetta a trasformarsi in una futura Eldorado degli Stati Uniti; scongiurando il riprodursi di una situazione analoga agli anni trenta del generale Battista, verrebbe da aggiungere. Per questo motivo, Hollande sostiene che la Francia debba guidare per prima lo sviluppo di Cuba e dei cubani.

Tuttavia, lo stesso Hollande si è ben guardato, finora, dall’affrontare lo spinoso tema pertinente ai diritti umani. Eppure, tra le luci ed ombre dello Stato cubano si susseguono gli avvicendamenti di una delle ultime dittature comuniste della storia, come i 9mila oppositori arrestati lo scorso anno e le persecuzioni ai danni di giornalisti e artisti indipendenti. Ma in Francia le polemiche sul silenzio del capo dell’Eliseo sulle repressioni del regime di L’Avana non si sono fatte attendere; difatti, ci ha pensato il presidente di Reporter Sans Frontières, Alain Le Gouguec, a menzionare un estratto delle dichiarazioni di François Hollande all’indomani della “Primavera nera” nel marzo 2003, che ha visto l’arresto e la condanna a pene sommarie di settantacinque dissidenti politici, quando l’allora leader del Parti Socialiste non si faceva troppi problemi a definire Cuba come un sistema dittatoriale senza alibi.

D’altro canto, Hollande non ha mai dato particolari segni di ammirazione nei confronti del governo castrista, fatto riscontrabile nell’articolo da lui firmato per il ‘Nouvel Observateur’ nel 2003, dal titolo “la belle révolution a tourné au cauchemar“, ovvero “la bella rivoluzione si trasformo’ in un incubo”. Al contrario, uno dei suoi predecessori all’Eliseo ha dimostrato in più di un’occasione di prediligere il regime cubano. Si tratta di François Mitterand, che nel 1974, in seguito alla sconfitta alle elezioni presidenziali, si reco’ proprio a Cuba per dieci giorni insieme alla moglie Danielle, dove fu ospitato con tutti gli ossequi e gli onori di casa da Fidel Castro. Al punto tale che lo stesso Mitterand, vent’anni più tardi, durante il suo mandato presidenziale cercherà di organizzare una visita del Lider Maximo a Parigi; senza successo e con numerosi dibattiti accesi in tutto il Paese.

Tempus fugit. Hollande ha sicuramente sorpreso ogni aspettativa con l’inversione di rotta cubana dell’ultimo minuto. Il tour de force diplomatico che lo attenderà a L’Avana durante la settimana, che a questo punto sarà quasi certamente focalizzato sulle tematiche di carattere economico e finanziario pertinenti ai due Paesi piuttosto che sui principali temi di politica internazionale, offrirà alla Francia un’importante chance per anticipare le altre nazioni occidentali nella nuova rotta commerciale verso i caraibi. Se non altro, una cartolina da Plaza de la Revolución potrebbe già in parte valere il prezzo del biglietto.

Giacomo Fidelibus @JackFide
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Parigi, successo in apertura del ‘Bel canto’ al Théâtre des Variétés

grande_3L’ouverture della tournée francese degli artisti di Arslab Italy consacra il proprio omaggio a Pavarotti ripercorrendo la storia dell’opera italiana nel mondo

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Incantevole, briosa, rievocativa. Gli applausi e le acclamazioni dell’intera sala a fine spettacolo non tradiscono il successo del capolavoro internazionale dell’opera realizzata da Arslab Italy. Quando le competenze artistiche della giovane équipe formata da dodici cantanti selezionati dalla Fondazione Luciano Pavarotti, da sette ballerini e da nove musicisti d’orchestra, diretti dal maestro Pasquale Menchinse, si uniscono per rendere omaggio al Maestro Luciano Pavarotti e all’eredità lasciata dalla sua musica a livello mondiale, l’espressione ‘Bel canto’ non raffigura solo un titolo traslato per designare le esibizioni celebrative che hanno luogo a Parigi fino al 17 maggio.

Nomina sunt omina, lo spettacolo presentato martedi’ 5 maggio presso la graziosa cornice del Théâtre de Variétés, storico teatro parigino progettato nel 1807 dagli architetti Jacques Cellerier e Jean-Antoine Alavoine, offre il panorama di un viaggio nella storia della lirica; dagli albori rinascimentali, che vedono la propria ouverture presso la corte di Lorenzo Dé Medici con il Trionfo di Bacco e Arianna, le coreografie proseguono con la riproposizione dell’Incoronazione di Poppea eseguita a Venezia da Monteverdi verso la metà del 1600.

La prima parte del recital, quasi interamente dedicata all’opera buffa, censisce l’originale adattamento scenografico del Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini, seguito dall’Elisir d’Amore di Donizetti e dal Don Giovanni di Mozart. Ad hoc, la conclusione della terza promenade non poteva non essere riservata a Giuseppe Verdi e al suo repertorio: dai Vespri siciliani, al Rigoletto per arrivare alla splendida rappresentazione della Traviata, il palco diventa un tripudio melodrammatico improntato sulle melodie verdiane.

Ma i traghettatori di “Bel canto”, coordinati dalla direzione artistica di Franco Dragone e dalla sistemazione coreutica di Vittorio Biagi, hanno ossequiato la seconda parte dell’opera con quattro seducenti interpretazioni delle opere di Giacomo Puccini, rispettivamente estratte dai brani de La Tosca, O mio babbino caro, Madama Butterfly e La Bohème, che hanno preceduto la scena di una quinta promenade interamente dedicata a Napoli, apertasi con la Tarantella di Rossini e contraddistinta dalla suite napolitaine con i pezzi di Core ‘Ngrato, Torna a Surriento e O Sole Mio.

De cuius hereditate agiturl’ultima prospettiva dell’inedito tributo a Pavarotti ha assunto un taglio decisamente internazionale, con brani ispirati a Britten, Wagner, Bizet – tra cui la Carmen – e diversi pezzi del repertorio musicale francese, tra i cui titoli celebrativi della tournée non sono mancati Notre Dame de Paris e la Vie en Rose di Édit Piaf. In seguito, la scena si è rivolta ad eccellenti esecuzioni di motivi presi dai successi internazionali, come la perfomance di Bohemian Rapsody dei QueenThe Phantom of the Opera di Andrew Lloyd Webber e del prestigioso capolavoro di Agustin LaraGranada.

Infine, ad insignire l’ultimo atto dello spettacolo è stata la straordinaria riproposizione del ‘turandotiano’ Nessun Dorma di Puccini, tramite uno schermo allestito sul palco, cantato dal maestro Luciano Pavarotti a Los Angeles nel 1994. Un momento commemorativo che ha fermato le lancette di tutti gli orologi per lasciare campo libero ad ogni emozione melodica. Sotto questo aspetto, la camelia offerta dai vivai Roué alla moglie del tenore presente in sala, Nicoletta Mantovani, terrà vivo il ricordo di un grande interprete della musica italiana nel mondo; capace a tutt’oggi di fare appassionare e commuovere grazie alle mille voci del “Bel canto”, in questo caso ‘nomina sunt consequentia rerum’.

Giacomo Fidelibus @JackFide
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BELCANTO: questa sera l’omaggio a Luciano Pavarotti al Théâtre des Variétés

Uno spettacolo italiano a Parigi, ore 20:45

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COMUNICATO DI PRESENTAZIONE

Dopo il successo ottenuto a Spoleto, Bologna e New York, arriva a Parigi dal 2 maggio 2015 al Théâtre des VariétésBelcanto The Luciano Pavarotti Heritage, uno spettacolo tutto italiano, prodotto per Ars Lab Italy da Luigi Caiola, che celebra la tradizione artistica musicale più conosciuta al mondo attraverso un viaggio che parte dalle origini del “bel canto” nel Rinascimento, passando per Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini e la canzone Napoletana fino ad arrivare ai giorni nostri.

Lo spettacolo è realizzato in collaborazione con la Fondazione Luciano Pavarotti e vanta una squadra di artisti orgogliosamente italiani che operano con successo da decenni in ambito internazionale. La direzione artistica è infatti affidata a Franco Dragone, uno dei direttori artistici più ambiti al mondo, tra le altre cose Direttore Creativo per dodici anni del Cirque Du Soleil per il quale ha avuto un ruolo fondamentale nella loro ascesa mondiale firmando dieci dei loro maggiori successi, la regia a Gianfranco Covino, suo stretto collaboratore e fondatore tra l’altro della Compagnia Barbiana in Belgio, e le coreografie sono di Vittorio Biagi, considerato “il rappresentante più valido e geniale della nuova espressione coreutica italiana”.

Belcanto è uno spettacolo di teatro musicale che rende omaggio ad uno stile vocale italiano che ormai appartiene a tutti. Per questo motivo propone alcuni dei brani più noti della tradizione italiana ed internazionale che risiedono nella memoria collettiva del pubblico di tutto il mondo. Da Habanera (Carmen) a Nessun Dorma (Turandot) passando per Un Bel Dì Vedremo (Madame Butterfly) fino aBohemian Rhapsody (Queen) i protagonisti, richiameranno queste indimenticabili melodie dalla memoria del pubblico per riportarle a nuova vita anche grazie ad arrangiamenti contemporanei ma fortemente rispettosi delle orchestrazioni originali.

Il pubblico teatrale si troverà così ad essere condotto in un viaggio immaginario che prende le mosse dalla Firenze di Lorenzo De’ Medici e la Venezia di Claudio Monteverdi, per arrivare alla Londra di Freddie Mercury e dei Queen, passando attraverso i grandi compositori del repertorio operistico, l’operetta austriaca e francese, il musical angloamericano, fino al pop e al rock.

I “traghettatori” di Belcanto, i protagonisti assoluti dello spettacolo, sono dodici giovani cantanti (le soprano Sarah Baratta, Sara Cappellini Maggiore, Alessandra Della Croce, Elisa Maffi, Ellen Teufel; le mezzo-soprano Lucia Branda, Antonella Carpenito; i tenori Matteo Desole, Riccardo Gatto, Michele Silvestri, Stefano Tanzillo; i baritoni Daniele Antonangeli, Andrea Zaupa), che con la freschezza della loro età, ma anche con la padronanza tecnica e l’esperienza scenica acquisita, sono la testimonianza vivente di quanto un’espressione artistica che viene da un tempo lontano possa ancora oggi essere capace di interpretare e comunicare le emozioni e le passioni dell’umanità.

L’obiettivo dello spettacolo è proprio questo: riaffermare il valore universale e contemporaneo del “bel canto” attraverso l’esibizione di cantanti che vivono appieno il loro essere giovani del nostro tempo.

Ad accompagnarli rigorosamente dal vivo un’orchestra composta da  otto musicisti ( Elena Borlizzi al flauto; Luciano Corona al fagotto; Fabrizio Miglietta al clarinetto; Andrea Bauleo alla tastiera/pianoforte; Giuluigi Farina alla tastiera; Paolo Andreoli al pianoforte,; Nanni Civitenga al basso elettrico e chitarre; Luca Masotti al digital drum) diretti dal Maestro Pasquale Menchise e uncorpo di ballo composto da sei elementi (Noemi, Capuano, Viola Cecchini, Lucia Cinquegrana, Giulia Fedeli, Sebastiano Meli, Francesca Schipani).

I cantanti di Belcanto sono stati selezionati in collaborazione con la Fondazione Luciano Pavarotti, la cui finalità è appunto quella di valorizzare i giovani artisti che intendano dedicarsi allo studio e alla pratica di questo specifico stile vocale, nobilitato e diffuso in tutto il mondo anche grazie alla straordinaria esperienza artistica del  Maestro Luciano Pavarotti.

Tutto concorre, quindi, a far sì che Belcanto rappresenti per il pubblico parigino l’occasione per vivere un’esperienza intensa ed emozionate, immergendosi in un’autentica rappresentazione della creatività artistica italiana più amata nel mondo.

Citando una bella frase di un recente film di Roberto Faenza, Belcanto rappresenta “un viaggio nel passato con un solo bagaglio: il futuro”.

Il 5 maggio si terrà una serata su invito alla quale presenzierà anche Nicoletta Mantovani che riceverà in dono dai vivai Roué una nuova varietà di camelia che prenderà il nome di Camelia Fondazione Luciano Pavarotti.

Link al video di presentazione http://www.belcantolive.com/it/video.html

Link alle foto di scena http://www.belcantolive.com/it/foto.html

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Indonesia, il destino del francese Atlaoui è sospeso a un filo

Dopo l’esecuzione di otto condannati avvenuta martedi’, Serge Atlaoui attende gli sviluppi del suo rinvio; ma il governo indonesiano non fa sconti sul traffico di droga. Le pressioni della Francia e dell’Onu su Jakarta continuano

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Un avvenire tormentoso e un presente precario; condizione vagamente flaubertiana per designare il filo sottile a cui è appesa la sorte di Serge Atlaoui, cinquantunenne francese arrestato nel 2005 nei pressi di un laboratorio clandestino impiegato per la produzione di ecstasy a Jakarta, città in cui si trovava per lavoro. Giudicato colpevole sia nel primo appello che durante il ricorso in cassazione, nel 2007 Atlaoui e altri nove indiziati coinvolti nell’indagine vengono condannati alla pena capitale.

Ipso iure, l’intransigenza della legge indonesiana sul traffico di droga è ben nota, a dispetto delle numerose iniziative, diplomatiche e civiche, che hanno preso luogo in Francia all’indomani della condanna. In tale quadro, si va dalla creazione delle associazioni contro la pena di morte – come “100 % Serge Atlaoui” – alla richiesta di grazia inviata dalla cantante franco – indonesiana Anggun al Presidente della Repubblica Joko Widodo, per arrivare alla solidarietà manifestata in campo dal FC Metz, squadra di calcio della città natale di Atlaoui. Negli ultimi dieci anni i rapporti tra Francia e Indonesia sono stati caratterizzati da sollecitazioni e tensioni internazionali che hanno portato all’intervento del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon, il quale, due settimane fa, ha esortato il governo indonesiano a non procedere con l’esecuzione dei dieci condannati.

Vox clamanti in deserto, il 21 aprile la Corte costituzionale d’Intonesia ha rigettato l’ultimo ricorso per la riapertura del caso, confermando ad Atlaoui il capo d’accusa di distribuzione, trasferimento e vendita di eroina pura; una sentenza che ha visto l’intensificarsi delle reazioni diplomatiche dall’Esagono. Dall’appello unanime di Hollande e Valls contro la pena di morte alla convocazione da parte del ministro degli Esteri francese Laurent Fabius di un vertice con la presenza di Hotmangaradja Pandjaitan, ambasciatore della Repubblica d’Indonesia a Parigi, l’intero corpo istituzionale francese ha messo in guardia a più riprese il governo di Jakarta sulle possibili conseguenze che l’esecuzione di Atlaoui potrebbe avere sulle relazioni tra i due Paesi.

Per il momento le iniziative internazionali hanno registrato come esito positivo il rinvio provvisorio dell’esecuzione di Serge Atlaoui, che insieme alla cittadina filippina Mary Jane Veloso è stato risparmiato dalla fucilazione avvenuta martedi’ 28 aprile nelle prigioni dell’isola di Nuskambangan – conosciuta come l’Alcatraz indonesiana – che ha offerto la propria macabra cornice per l’uccisione degli otto condannati nell’inchiesta: due australiani, un brasiliano, quattro nigeriani e un indonesiano.  Ma il momentaneo ritiro di Atlaoui dalla lista della morte sarebbe dovuto ad un ricorso giudiziario richiesto dai suoi avvocati per l’assenza di motivazioni da parte del Presidente Joko Widodo nel corso del suo ultimo rifiuto di concedergli la grazia. De facto, il procutore generale d’Indonesia negli ultimi giorni ha smorzato le minime speranze accese in seguito al rinvio, ribadendo sui media che il detenuto francese sarà processato a breve. <<Una tortura psicologica che non lascia margini di resa al martirio di Serge>>, rimarca la moglie del condannato, Sabine, con la quale Atlaoui si è sposato in carcere nel 2007 e dalla quale ha avuto un figlio.

Del resto, in Indonesia il traffico di droga è considerato dalle autorità come un crimine ed è dunque passibile della pena capitale, come in altri Paesi del Sud Est asiatico. A fortiori, secondo un recente sondaggio, circa l’85 % degli indonesiani sosterrebbe tale posizione, corroborata dall’elezione in ottobre alla Presidenza della Repubblica di Joko Widodo, che della persecuzione ai trafficanti di eroina ne ha fatta una vera e propria bandiera. Se da una parte la Francia resta mobilizzata nel prodigare il proprio sforzo diplomatico, dall’altra l’Unione Europea si è dichiarata costernata alla notizia dell’esecuzione degli otto prigionieri. Attraverso le parole dell’Alto Rappresentante Federica Mogherini, l’UE ha pubblicamente richiesto a Jakarta di adottare una moratoria contro la pena di morte, che non puo’ rappresentare una risposta al traffico di droga. In tal senso, Bruxelles ha da tempo offerto il proprio aiuto strategico e pratico al governo indonesiano per combattere le attività criminali legate al commercio di stupefacenti. Ma nelle prossime ore l’attenzione dei media francesi sarà puntata sugli sviluppi provenienti dall’Isola di Nuskambangan. Ora il tempo sembra essere l’unica e ultima speranza.

Giacomo Fidelibus @JackFide
Tribuna Italia

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